mercoledì 9 febbraio 2011

RABBIT HOLE

Recensione Rabbit Hole
Titolo originale: id.
Nazione: USA
Anno: 2010
Genere: drammatico
Durata: 1h31m
Regia: John Cameron Mitchell
Sceneggiatura: David Lindsay-Abaire
Fotografia: Anton Sanko
Musiche: Frank G. DeMarco
Cast: Nicole Kidman, Aaron Eckhart, Dianne Wiest, Miles Teller, Tammy Blanchard, Sandra Oh, Giancarlo Esposito, Jon Tenney, Stephen Mailer, Mike Doyle, Roberta Wallach, Patricia Kalember, Ali Marsh, Yetta Gottesman, Colin Mitchell


Trama
Becca e Howie Corbett sono una coppia felicemente sposata, il cui mondo perfetto va in frantumi in un solo istante quando Danny, il loro figlio di quattro anni, muore investito da un auto. Becca cerca di ridefinire la sua esistenza in un paesaggio surreale fatto di familiari e di amici pieni di buone intenzioni nei suoi confronti. Becca trova conforto in un’inspiegabile relazione con Jason, l’adolescente che conduceva l’auto che ha ucciso Danny. Howie, invece, continua ad immergersi nel passato, cercando rifugio nei video e negli oggetti che gli ricordano Danny. I Corbett, entrambi alla deriva, si ritroveranno nel loro percorso di accettazione del dolore di fronte a scelte che determineranno il loro destino.

Recensione
Diretto da John Cameron Mitchell (“Hedwig - La diva con qualcosa in più”, “Shortbus - Dove tutto è permesso”) e adattato dal drammaturgo David Lindsay-Abaire da una propria pièce teatrale con la quale ha vinto il Premio Pulitzer, “Rabbit hole” racconta la storia di una coppia, Becca (Nicole Kidman) e Howie (Aaron Eckhart) Corbett, nella dolorosa ricerca di ritornare a vivere vita apparentemente normale dopo l’improvvisa perdita del loro figlio di quattro anni. La madre di Becca (Dianne Wiest) e la sorella scombinata (Tammy Blanchard), da poco rimasta incinta, cercano di dare loro un supporto difficile da accettare. A peggiorare le cose, c’è il gruppo di sostegno che i due frequentano, una situazione che li allontana ancor di più in quanto Howie sembra rispondere positivamente alle discussioni, mentre Becca si sente a disagio e distante dalla loro dipendenza da quelle che lei considera soltanto giustificazioni religiose prive di significato.
La morte di un figlio, specialmente in tenera età, è dolore straziante che può minare anche il rapporto più affiatato, perché ognuno ha un modo diverso di vivere una perdita e diversi comportamenti per ritrovare un senso nella propria vita. Ciò che favorisce l’allontanamento di due persone prima unite nel profondo è proprio la percezione del diverso modo che ha l’altro di sopravvivere il lutto, un modo che si spesso si ritiene sbagliato. Howie desidera sentire suo figlio ancora accanto a sé, riguardando da solo nel buio della notte i filmati del suo videofonino, nei quali la famiglia al completo era felice. Becca, invece, non sopporta di vedere le tracce del suo bambino, per questo leva via i disegni dal frigorifero arrivando al punto di desiderare di cambiare casa. Un modo per accettare la morte, per renderla reale e riuscire così a superarla.
“Rabbit hole” mostra anche i difficili i rapporti con gli altri familiari. La madre di Becca, interpretata da una magnifica Dianne Wiest, cerca di condividerne il dolore, che anni prima fu suo (perse anche lei un figlio). Una figura resa straordinaria dai dialoghi che le affida David Lindsay-Abaire. Nelle sue parole c’è un esempio di accettazione del dolore: una pietra che si porta in tasca vivendo la propria quotidianità. Quella pietra resterà sempre lì nella tasca, ma il suo peso diventerà sempre più sopportabile fino a dimenticarlo, però soltanto per qualche breve momento. Oppure quando racconta di un’amica che ogni giorno, poco dopo il lutto, si presentava a casa sua cercando di condividere il suo dolore dicendo di portarsene via un pezzo. In realtà, quello che si portava via la donna erano soltanto le sue ciambelle. Frasi banali che fanno anche sorridere, ma che in realtà contengono una propria visione del lutto: chi ricerca l’appoggio degli altri, chi non lo richiede, anzi a malapena lo sopporta.
Lo script eccellente di “Rabbit hole” evita di immergersi nel sentimentalismo stucchevole realizzando, invece, una credibile, disperatamente realistica rappresentazione del dolore ed è interessante osservare due persone che si rendo conto della loro incapacità di sorreggersi a vicenda.
Nicole Kidman offre la migliore prestazione della sua carriera, paragonabile a quella meravigliosa di “Dogville” di Lars von Trier. Perfettamente radicata nel personaggio di Becca, mostra la sua tradizionale freddezza che in un film come “Rabbit hole” era essenziale. Intensa e reale nel dolore, la Kidman trasmette tutte le difficoltà di sopravvivere e l’incapacità di prendersi cura di sé stessa e di suo marito, un Aroon Eckart che non sfigura. Buono anche il lavoro del resto del cast, in particolare Miles Teller. Colpisce il modo in cui il giovane ragazzo cerchi di metabolizzare il senso di colpa per essere stato attore e spettatore di un evento così tragico, senza alcuna reale colpa se non l’essere presente lì in quel momento. Becca, attraverso i dialoghi con l’adolescente e quel suo fumetto sui mondi paralleli troverà una plausibile valvola di sfogo, perché al dolore della morte Becca lega un astio nei confronti di Dio.
“Rabbit hole” è un film sulla morte e le sue tragiche conseguenze, sul desiderio di ritornare a vivere, nonostante il dolore. Il regista Mitchell non cerca una risoluzione rapida e ordinaria. Piuttosto, segue prima le increspature del dramma che sommerge, come uno tsunami, i Corbett e pian piano mostra come i “sopravvissuti” cerchino di ripulire quanto prima tutti i detriti che l’onda ha trascinato con sé in modo tale da ricostruire una vita normale.
Meravigliosa la fotografia: ottima la scelta di Frank G. DeMarco di ritrarre i momenti di vita quotidiana che continua incurante del dolore. La colonna sonora, poi, amplifica in modo perfetto il senso di drammaticità degli eventi.
“Rabbit hole” è un film intenso e commovente caratterizzato da una superba regia, una scrittura magistrale ed una formidabile prestazione offerta da Nicole Kidman. Altamente consigliato. Meglio, però, si astengano soggetti facili alla depressione.

Voto: 81%


1 Comment:

Anonimo said...

Cosa c'entra il titolo Rabbit Hole?