Titolo originale:
Nazione: Canada, Francia
Anno: 2010
Genere: drammatico, guerra, thriller
Durata: 2h10m
Regia: Denis Villeneuve
Sceneggiatura: Valerie Beaugrand-Champagne, Denis Villeneuve
Fotografia: André Turpin
Musiche: Gregoire Hetzel
Cast: Lubna Azabal, Melissa Desormeaux-Poulin, Maxim Gaudette, Remy Girard, Abdelghafour Elaaziz, Allen Altman, Mohamed Majd, Nabil Sawalha, Baya Belal, Bader Alami, Karim Babin
Trama
Jeanne e Simon Marwan vengono convocati dal notaio Jean Lebel per la lettura del testamento della madre Nawal. Oltre a lasciare tutti i suoi beni equamente divisi, la donna vuole che i figli consegnino due lettere, una al padre, che i ragazzi ritenevano morto in guerra, e una per il loro fratello del quale ignoravano l’esistenza. Al principio soltanto Jeanne accetta la volontà della madre e parte per il Libano alla ricerca della parte sconosciuta della sua famiglia per essere raggiunta, in seguito, dal fratello.
Recensione
Il prologo de “La donna che canta” è la sintesi del Cinema: regia, fotografia, montaggio, musiche si fondono in un’armoniosa composizione che descrivono il concetto stesso di Arte. Il Cinema non è la settima arte, il Cinema è la sintesi di tutte le arti. Il film inizia con l’immagine di una zona desertica: lo scenario è arido, come solo può esserlo l’animo umano. Tutto è fermo, quasi un’istantanea. Si muove soltanto una palma, toccata dal vento. La cinepresa sul carrello retrocede rendendoci consapevoli che, in realtà, l’azione non si svolge all’esterno. Ruotando, l’obiettivo ci mostra ciò che davvero sta avvenendo, un rito di iniziazione. Bambini in procinto di diventare adulti. Il loro carattere è pronto a sopportare la crudeltà della guerra, crudeltà di cui essi stessi si faranno promotori. Non c’è l’acqua santa del battesimo, c’è un rasoio tagliente che segna la loro condizione di combattenti dando un taglio netto con la loro innocenza. Alcuni sono con il capo chinato, altri guardano la scena con stupore, in attesa di diventare anche loro uomini, di guerra. Altri hanno lo sguardo perso nel vuoto, non c’è paura, non c’è ammirazione, c’è una fiera rassegnazione e accettazione del loro destino. La paura si è già dileguata tempo prima e i segni dei loro volti tumefatti e macchiati di sangue ne sono la prova. La mdp passa in carrellata i piedi: gli uomini sono già equipaggiati con gli scarponi, i bambini sono ancora a piedi nudi, c’è ancora un segno della loro innocenza. In primo piano compare il calcagno di uno di loro: tre puntini neri lo distinguono dagli altri bambini. Il regista ce lo mostra di fronte, a figura intera. Ci osserva con uno sguardo che concentra un insieme infinito di emozioni. Le note di “You and whose army?” dei Radiohead (riproposta nei momenti più importanti del film) e la voce di Tom Yorke sottolineano il crescendo di violenza e di crudeltà che ci apprestiamo a vedere.
“L’infanzia è un coltello piantato in gola che non si tira via facilmente” così inizia “La donna che canta” e il testamento di questa Nawal, madre di due gemelli che scopriranno di avere anche un padre e un fratello ancora vivi, perché “La morte non è mai la fine di una storia, rimangono sempre delle tracce”. Nawal ha cambiato vita, si è trasferita in Canada. Il passato ritorna sempre a galla e si trasforma in un silenzio di sofferenza e tormenti che la accompagna alla tomba. Jeanne (Melissa Desormeaux-Poulin) e Simon (Maxim Gaudette) dovranno ritrovare quel padre e quel fratello sconosciuti. Reagiscono in maniera diametralmente opposta: Jaenne è spinta dalla voglia di conoscere le sue origini, per sé stessa e per rispetto nei confronti della madre. Simon non vuole sapere nulla del suo passato, vuole far finta di nulla. Dice di essere in pace. Ma lo dice con rabbia.
Tratto dall’omonima pièce teatrale di Wajdi Mouawad, “La donna che canta” è diretto e co-sceneggiato dal regista canadese Denis Villeneuve. Pur segnalati con dovizia, i luoghi del film in realtà non esistono. Lo scrittore Mouawad, ha volutamente inventato i nomi. Pur se la storia è trae ispirazione dalla vera vita di Souha Bechara, quanto si vede ha e deve avere connotati universali. Siamo nel Libano dilaniato dalla guerra civile fra cristiani e musulmani, ma l'odio, profondo e incessante, è lo stesso al di là delle religioni. Lo evidenzia Villeneuve in uno dei massacri dei miliziani cristiani che imbracciano mitra con le immagini della Madonna uccidendo persone comuni.
Come una perfetta equazione matematica “La donna che canta” combina tragedia greca, thriller, ricerca delle proprie origini, amore filiale, guerra, dramma privato in un viaggio che prosegue grazie ad una serie di indizi, come nel classico del giallo. La matematica è elemento fondamentale sia qui che nelle altre pellicole di Villeneuve. Il discorso del professore di matematica del quale Jeanne è assistente è una perfetta sintesi del film (e della vita): “La matematica, come l'avete conosciuta fino a oggi, ha cercato di fornire risposte certe e definitive a problemi certi e definitivi. Ora state per affrontare un'avventura totalmente diversa. Vi troverete di fronte problemi insolubili che vi porteranno sempre verso altri problemi, altrettanto insolubili. Le persone intorno a voi vi ripeteranno che la cosa su cui vi scervellate. E’ inutile. Non avrete argomenti per difendervi, perché quei problemi saranno di una complessità estenuante. Benvenuti nella matematica pura, nel paese della solitudine”.
Villeneuve sceglie una regia sobria nel descrivere questa storia violenta. Cerca in tutti modi di evitare la vista di immagini efferate, proponendo più le conseguenze psicologiche, in particolare nelle scene del carcere. Le immagini sono tuttavia molto realistiche. Due scene vanno menzionate per qualità registica: la prima è quella in cui Simon incontra Chamseddine nella l’utilizzo della profondità di campo e della voce fuori campo sono utilizzate in modo molto originale ed efficace; la seconda, in piscina la telecamera collega due elementi che assieme esplodono con conseguenze devastanti.
“La donna che canta” è una film spietato, brutale. Una storia che cresce di intensità minuto dopo minuto fino a raggiungere un finale spiazzante quanto tragico. Forse le vittime della guerra non sono i morti, ma i vivi, sopravvissuti ad atrocità inenarrabili. Regia e montaggio di livello eccellente, sceneggiatura che deve piegarsi per chiudere la storia, tuttavia studiata in un gioco di incastri che tiene viva l’attenzione. Un film di rara bellezza e intensità.
Nazione: Canada, Francia
Anno: 2010
Genere: drammatico, guerra, thriller
Durata: 2h10m
Regia: Denis Villeneuve
Sceneggiatura: Valerie Beaugrand-Champagne, Denis Villeneuve
Fotografia: André Turpin
Musiche: Gregoire Hetzel
Cast: Lubna Azabal, Melissa Desormeaux-Poulin, Maxim Gaudette, Remy Girard, Abdelghafour Elaaziz, Allen Altman, Mohamed Majd, Nabil Sawalha, Baya Belal, Bader Alami, Karim Babin
Trama
Jeanne e Simon Marwan vengono convocati dal notaio Jean Lebel per la lettura del testamento della madre Nawal. Oltre a lasciare tutti i suoi beni equamente divisi, la donna vuole che i figli consegnino due lettere, una al padre, che i ragazzi ritenevano morto in guerra, e una per il loro fratello del quale ignoravano l’esistenza. Al principio soltanto Jeanne accetta la volontà della madre e parte per il Libano alla ricerca della parte sconosciuta della sua famiglia per essere raggiunta, in seguito, dal fratello.
Recensione
Il prologo de “La donna che canta” è la sintesi del Cinema: regia, fotografia, montaggio, musiche si fondono in un’armoniosa composizione che descrivono il concetto stesso di Arte. Il Cinema non è la settima arte, il Cinema è la sintesi di tutte le arti. Il film inizia con l’immagine di una zona desertica: lo scenario è arido, come solo può esserlo l’animo umano. Tutto è fermo, quasi un’istantanea. Si muove soltanto una palma, toccata dal vento. La cinepresa sul carrello retrocede rendendoci consapevoli che, in realtà, l’azione non si svolge all’esterno. Ruotando, l’obiettivo ci mostra ciò che davvero sta avvenendo, un rito di iniziazione. Bambini in procinto di diventare adulti. Il loro carattere è pronto a sopportare la crudeltà della guerra, crudeltà di cui essi stessi si faranno promotori. Non c’è l’acqua santa del battesimo, c’è un rasoio tagliente che segna la loro condizione di combattenti dando un taglio netto con la loro innocenza. Alcuni sono con il capo chinato, altri guardano la scena con stupore, in attesa di diventare anche loro uomini, di guerra. Altri hanno lo sguardo perso nel vuoto, non c’è paura, non c’è ammirazione, c’è una fiera rassegnazione e accettazione del loro destino. La paura si è già dileguata tempo prima e i segni dei loro volti tumefatti e macchiati di sangue ne sono la prova. La mdp passa in carrellata i piedi: gli uomini sono già equipaggiati con gli scarponi, i bambini sono ancora a piedi nudi, c’è ancora un segno della loro innocenza. In primo piano compare il calcagno di uno di loro: tre puntini neri lo distinguono dagli altri bambini. Il regista ce lo mostra di fronte, a figura intera. Ci osserva con uno sguardo che concentra un insieme infinito di emozioni. Le note di “You and whose army?” dei Radiohead (riproposta nei momenti più importanti del film) e la voce di Tom Yorke sottolineano il crescendo di violenza e di crudeltà che ci apprestiamo a vedere.
“L’infanzia è un coltello piantato in gola che non si tira via facilmente” così inizia “La donna che canta” e il testamento di questa Nawal, madre di due gemelli che scopriranno di avere anche un padre e un fratello ancora vivi, perché “La morte non è mai la fine di una storia, rimangono sempre delle tracce”. Nawal ha cambiato vita, si è trasferita in Canada. Il passato ritorna sempre a galla e si trasforma in un silenzio di sofferenza e tormenti che la accompagna alla tomba. Jeanne (Melissa Desormeaux-Poulin) e Simon (Maxim Gaudette) dovranno ritrovare quel padre e quel fratello sconosciuti. Reagiscono in maniera diametralmente opposta: Jaenne è spinta dalla voglia di conoscere le sue origini, per sé stessa e per rispetto nei confronti della madre. Simon non vuole sapere nulla del suo passato, vuole far finta di nulla. Dice di essere in pace. Ma lo dice con rabbia.
Tratto dall’omonima pièce teatrale di Wajdi Mouawad, “La donna che canta” è diretto e co-sceneggiato dal regista canadese Denis Villeneuve. Pur segnalati con dovizia, i luoghi del film in realtà non esistono. Lo scrittore Mouawad, ha volutamente inventato i nomi. Pur se la storia è trae ispirazione dalla vera vita di Souha Bechara, quanto si vede ha e deve avere connotati universali. Siamo nel Libano dilaniato dalla guerra civile fra cristiani e musulmani, ma l'odio, profondo e incessante, è lo stesso al di là delle religioni. Lo evidenzia Villeneuve in uno dei massacri dei miliziani cristiani che imbracciano mitra con le immagini della Madonna uccidendo persone comuni.
Come una perfetta equazione matematica “La donna che canta” combina tragedia greca, thriller, ricerca delle proprie origini, amore filiale, guerra, dramma privato in un viaggio che prosegue grazie ad una serie di indizi, come nel classico del giallo. La matematica è elemento fondamentale sia qui che nelle altre pellicole di Villeneuve. Il discorso del professore di matematica del quale Jeanne è assistente è una perfetta sintesi del film (e della vita): “La matematica, come l'avete conosciuta fino a oggi, ha cercato di fornire risposte certe e definitive a problemi certi e definitivi. Ora state per affrontare un'avventura totalmente diversa. Vi troverete di fronte problemi insolubili che vi porteranno sempre verso altri problemi, altrettanto insolubili. Le persone intorno a voi vi ripeteranno che la cosa su cui vi scervellate. E’ inutile. Non avrete argomenti per difendervi, perché quei problemi saranno di una complessità estenuante. Benvenuti nella matematica pura, nel paese della solitudine”.
Villeneuve sceglie una regia sobria nel descrivere questa storia violenta. Cerca in tutti modi di evitare la vista di immagini efferate, proponendo più le conseguenze psicologiche, in particolare nelle scene del carcere. Le immagini sono tuttavia molto realistiche. Due scene vanno menzionate per qualità registica: la prima è quella in cui Simon incontra Chamseddine nella l’utilizzo della profondità di campo e della voce fuori campo sono utilizzate in modo molto originale ed efficace; la seconda, in piscina la telecamera collega due elementi che assieme esplodono con conseguenze devastanti.
“La donna che canta” è una film spietato, brutale. Una storia che cresce di intensità minuto dopo minuto fino a raggiungere un finale spiazzante quanto tragico. Forse le vittime della guerra non sono i morti, ma i vivi, sopravvissuti ad atrocità inenarrabili. Regia e montaggio di livello eccellente, sceneggiatura che deve piegarsi per chiudere la storia, tuttavia studiata in un gioco di incastri che tiene viva l’attenzione. Un film di rara bellezza e intensità.
Voto: 94%
Trailer “La donna che canta”

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3 Comments:
Grandissima rece, complimenti. La scena iniziale è qualcosa di unico, non è un caso che l'abbia inserita tra le 15 scene indimenticabili dell'anno.
E oggi che posterò i 15 migliori film vedrai che quello di Villeneuve sarà molto in alto...
Ancora complimenti.
Ah, ho visto il tuo link nel mio post e sono entrato da lì, non mi ero accorto che la tua recensione fosse solo di ieri.
Ecco perchè non aveva alcun commento, mi sembrava strano...
Intenso, drammatico, educativo: La donna che canta è uno dei migliori film degli ultimi anni. Tutti dovrebbero vederlo!
Vanessa <3
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