martedì 3 gennaio 2012

ANOTHER YEAR

Recensione Another Year
Titolo originale: id.
Nazione: Gran Bretagna
Anno: 2010
Genere: commedia, drammatico
Durata: 2h09m
Regia: Mike Leigh
Sceneggiatura: Mike Leigh
Fotografia: Dick Pope
Musiche: Gary Yershon
Cast: Jim Broadbent, Ruth Sheen, Lesley Manville, Oliver Maltman, Peter Wight, David Bradley, Martin Savage, Karina Fernandez, Michele Austin, Philip Davis, Imelda Staunton, Stuart McQuarrie


Trama
Tom è un ingegnere geologo e Gerri è una psicologa. Sono sposati e hanno un figlio avvocato, il trentenne Joe che conduce vita indipendente ma è ancora fidanzato. Nella casa dei due coniugi si incontrano spesso con alcuni parenti e amici: Mary, segretaria nella clinica in cui lavora Gerri, una donna di mezza età, piena di problemi e alla ricerca di un uomo; Ken, amico di Tom, un uomo oppresso dal lavoro e da altri fallimenti; Katie, la nuova ragazza di Joe, una terapista occupazionale.

Recensione
“Another year” racconta un (altro) anno di vita dei coniugi Tom e Gerri (proprio come il gatto e il topo). Non è un anno segnato da eventi particolari, che meritano di essere ricordati, e forse di essere raccontati. E’ un anno di vita come tanti altri, che il regista e sceneggiatori Mike Leigh racconta dividendolo nelle quattro stagioni somiglianti a quattro atti di una pièce teatrale. La casa di Tom e Gerri diviene rifugio e luogo di incontro di alcuni personaggi pieni di problemi comuni. Si parla tanto in “Another year”, probabilmente si parla solo. Perché accade poco o nulla, come nelle vite di gran parte di noi. Ecco, così, che diviene un evento da raccontare quello dell’acquisto di una nuova auto o il ricordo di una casa sull’albero. Ci sono anche i sentimenti: primo tra tutti l’amicizia, ma non mancano i sentimenti che nascono magari da sensazioni sbagliate (Mary, collega di Gerri, confonde la gentile ospitalità del figlio come un interessamento), ci sono gelosie. Tutto, però, avviene in modo pulito: non c’è malizia e non c’è cattiveria. C’è un rapporto troppo sbilanciato tra i personaggi: Tom e Gerri (si ci può mettere anche il loro figlio) appaiono sempre perfetti in qualsiasi cosa facciano. E infastidisce il fatto che sembrano consapevoli della loro condizione perfetta. Le altre povere anime che giungono nella loro casa sono, invece, tutti falliti, pieni di problemi personali e relazionali, e magari vanno in quella casa per capire quale sia il segreto della loro perfezione. Mary è una nevrotica donna di mezza età ancora piacente, ma del tutto inadatta a comprendere le relazioni umane. Ken è pieno di problemi e sempre con un bicchiere di vino o una lattina di birra in mano. Joe, il figlio dei due, è talmente anonimo da intorpidire i sensi. Katie, la nuova ragazza di Joe, è di un stupidità imbarazzante.
Il cast è eccezionale: il senso di normalità e di quotidianità viene portato sullo schermo senza eccessi e forzature. Lesley Manville è quella più impressiona, grazie anche ad una sceneggiatura a lei benevola. Manville crea un personaggio vero al quale si può volere un mondo di bene per quanto è ingenua e problematica, ma per le stesse caratteristiche, può suscitare un’antipatia incontrollabile.
Difficile dire se, a pelle, “Another year” può piacere o meno. Molto dipende da come si intende il cinema. Quasi sempre lo spettatore è a caccia di emozioni. Beh, come spesso accade nella vita di ogni giorno, qui ci sono poche emozioni. Per poter sopportare lunghi dialoghi (e monologhi) è necessario condirli con un pizzico di ironia e sarcasmo. E’ quello che fa un certo Woody Allen, forse l’unico che davvero può permettersi di proporre dialoghi interminabili senza (quasi) mai stancare. Altrimenti si rischia la noia o, addirittura, il sonno. Il voto che segue, riassuntivo delle recensioni di questo blog, non è mai stato così tecnico, una media perfetta tra le diverse caratteristiche della pellicola.

Voto: 56%


3 Comments:

Filli said...

Buon anno!!
Eccomi tra i tuoi lettori :)
Filli

Adriano Maini said...

Ho letto recensioni positive di questo film. Dovrei vederlo, allora, per esprimermi, perché se i dialoghi hanno un senso, la storia allora può essere palpitante.

Elsa said...

A me questo film ha incuriosito, nonostante lo spauracchio dei dialoghi infiniti. Del resto sono una fan di Rohmer, se non mi stanca lui... :)