martedì 31 gennaio 2012

TRE UOMINI E UNA PECORA

Tre uomini e una pecora
Titolo originale: A few best men
Nazione: Australia, Gran Bretagna
Anno: 2011
Genere: commedia
Durata: 1h37m
Regia: Stephan Elliott
Sceneggiatura: Dean Craig
Fotografia: Stephen F. Windon
Musiche: Guy Gross
Cast: Xavier Samuel, Kris Marshall, Kevin Bishop, Olivia Newton-John, Laura Brent, Rebel Wilson, Steve Le Marquand, Tim Draxl, Margaux Harris, Guy Gross, Jonathan Biggins, Elizabeth Debicki, Geordie Robinson, Charlotte Krinks, Matt Butcher


Trama
David, inglese, e Mia, australiana, si conoscono in vacanza, subito si innamorano e decidono di sposarsi. Il matrimonio si celebrerà in Australia, dove David giungerà soltanto il giorno prima assieme ai suoi tre più cari amici che gli faranno da testimoni. I tre folli combina guai sono per David come una famiglia, avendo perso entrambi i genitori. Anche la famiglia di Mia non è proprio tanto normale. Il padre della sposa è un senatore benestante, proprietario della più antica tenuta della zona. E’ convinto che il suo successo sia merito di Ramsy, un ariete di razza merino. La cerimonia avrà momenti per nulla tranquilli.

Recensione
Scritto dal londinese Dean Craig (“Funeral party”) e diretto dall’australiano Stephan Elliott (“Priscilla, la regina del deserto”), “Tre uomini e una pecora” è una divertentissima commedia che partendo dallo scontro tra culture mette in scena una serie di situazioni tra humour britannico e ilarità australiana. Come spesso accade negli ultimi tempi, circostanza prescelta è il matrimonio: il giorno più bello, organizzato sempre nei minimi dettagli, viene spogliato della sua sacralità.
Una pecora (in realtà, un montone di razza Merinos) conciata da drag queen, un acquisto di droga andato male, un addobbo floreale che per poco stermina mezzo parlamento australiano e un’Olivia Newton John (“Grease - Brillantina”) come non la si è mai vista sullo schermo sono soltanto alcuni dei momenti memorabili di “Tre uomini e una pecora”.
Kris Marshall (“Love actually - L’amore davvero” e “Funeral party”) e Kevin Bishop (“L'appartamento spagnolo”), rispettivamente Tom e Graham, fanno il trionfo di questo film grazie alle loro performance esilaranti. Tom è lo scapolo che non vuole perdere uno dei suoi amici; Graham è il più divertente del gruppo, la sua comicità va oltre gli spassosi baffetti à la Hitler. Luke è l’eterno malato d’amore, scaricato dalla ex per un ragazzo, secondo fonti affidabili, privo di un attributo del corpo umano essenziale per soddisfare una donna! E’ interpretato da Tim Draxl che accentua molto negli atteggiamenti la sua somiglianza con Rupert Everett. Xavier Samuel è il meno divertente anche perché è David, lo sposo, che ha ben poco da ridere vedendo quello che sta accadendo nel giorno del suo matrimonio. Ma la vera star è Ramsey, la povera pecora che sta lì a subire tutti gli scherzi e le angherie dei “tre uomini”.
Stephan Elliott mantiene sempre alto il ritmo, non c’è un attimo di tregua: ogni momento è buono affinché possa succedere qualcosa di imprevisto e di inimmaginabile. Elliott ha un talento che gli consente di farla franca, facendo apparire tutto sfacciato, ma mai squallido e volgare. Ben sfruttate le impressionanti location offerte dalle Blue Mountains australiane.
“Tre uomini e una pecora” è una commedia carinissima. Ogni scena è piena di idee e ben costruita, tutti i personaggi sono fantastici. Qualcuno l’ha definita come la versione australiana a “Una notte da leoni”. Beh, le somiglianze ci sono, anzi c’è da dire che la scena del risveglio il mattino dopo l’addio al celibato è praticamente copiata dal film di Todd Phillips. Non siamo a quei livelli, ma anche qui il divertimento è assicurato.

Voto: 82%

Trailer “Tre uomini e una pecora”


lunedì 30 gennaio 2012

IN TIME

Recensione film In Time
Titolo originale: id.
Nazione: USA
Anno: 2011
Genere: azione, fantascienza
Durata: 1h49m
Regia: Andrew Niccol
Sceneggiatura: Andrew Niccol
Fotografia: Roger Deakins
Musiche: Craig Armstrong
Cast: Justin Timberlake, Amanda Seyfried, Cillian Murphy, Olivia Wilde, Shyloh Oostwald, Johnny Galecki, Will Harris, Michael William Freeman Jesse Lee Soffer, Colin McGurk, Aaron Perilo, Nick Lashaway, William Peltz, Ray Santiago, Matt Bomer


Trama
In un futuro prossimo, l’invecchiamento è stato sconfitto: le persone crescono fino a 25 anni per avere la stessa età in eterno. Per evitare la sovrappopolazione, ogni persona è dotata di un conto alla rovescia. Se il tempo segnato scenderà a zero, si morirà all’istante. Il tempo è, dunque, diventato la nuova valuta. I ricchi vivono tranquillamente nelle zone ricche della città, gli altri cercano di sopravvivere cercando di non far scendere troppo il proprio conto alla rovescia. Will Salas è un ragazzo del ghetto che vive alla giornata, letteralmente, dato che il suo tempo non supera mai le 24 ore. La sua vita prosegue comunque tranquilla fino a quando uno sconosciuto gli regala una grossa somma di tempo prima di suicidarsi. Will è costretto alla fuga perché la polizia crede che sia lui l’assassino dell’uomo.

Recensione
Se non si considerassero “Gattaca - La porte dell’universo”, film d’esordio, e “Lord of war”, Andrew Niccol sarebbe l’esempio perfetto di geniale sceneggiatore incapace di mettere in scena le sue idee. “The Truman Show”, “S1m0ne”, “The Terminal” sono sue idee diventate, in mano ad altri registi, ottimi film. L’idea sviluppata in “In time” è tra le più interessanti degli ultimi tempi. Siamo in un futuro prossimo. L’invecchiamento è stato sconfitto. Le persone crescono fino a 25 anni per poi rimanere per sempre con lo stesso aspetto fisico. In realtà, quel “per sempre” è un lusso di pochi, perché ogni persona ha sul braccio un conto alla rovescia che ne determina la morte istantanea non appena si esaurisce. Una soluzione necessaria: vincere la morte significa sovrappopolare il pianeta. Il tempo registrato sul countdown viene incrementato con il lavoro e con qualsiasi altra attività, anche illegale, che genera reddito. Il tempo come nuova valuta, ceduta attraverso apparecchi custoditi nelle banche o scambiata con il semplice contatto tra le braccia. In sintesi, “In time” rende reale il noto proverbio “Il tempo è denaro”. L’ambientazione distopica mostra città divise in zone più o meno ricche, sempre in base alla quantità di tempo disponibile sul proprio conto alla rovescia.
Un’idea incredibilmente originale? Forse al cinema, ma non in letteratura. Nel 1965, infatti, veniva pubblicato dallo scrittore Harlan Ellison il libro “«Pentiti, Arlecchino!» disse l’Uomo del Tic-Tac”. La New Regency, società di produzione del film, si è accordata con Ellison aggiungendolo nei crediti. Se da un lato questo ha evitato una causa in tribunale, dall’altro è stata una chiara ammissione di colpa.
Plagio a parte, “In time” è una grande occasione persa. Niccol si mostra inadatto sia sul piano artistico che puramente tecnico. Alcune scene sono orrende sia nel girato che nella loro stessa ideazione. Niccol insiste troppo sulle spiegazioni di questa nuova società dimenticandosi di gestire i comportamenti delle personi comuni. Tutti si comportano come se vivessero ai nostri giorni, come se il tempo non fosse passato. Si passa poi a una noiosa caccia al criminale che ha preso in ostaggio la figlia del magnate. Secondo un copione scontato, la ragazza sposa le sue idee rivoluzionare e ne diventa complice. A inseguirli c’è un povero poliziotto mal pagato e che quindi a stento riesce a ricaricare il suo tempo a disposizione. Per la serie: "Date più sold... ehm, tempo ai poliziotti!”
Le prove incolore degli attori sono figlie della pessima gestione degli stessi. Se Justin Timberlake cerca di fare il possibile per apparire credibile, la sexy e dolce Amanda Seyfried appare come un pesce lesso con un fiocco rosso in testa. Un applauso alla giovane attrice, così coraggiosa nell’andare in scena con una capigliatura così orrenda!
Banale la colonna sonora di Craig Armstrong, esperto compositore, qui del tutto fuori corda. Da potenziale cult sci-fi “In time” diventa così un filmetto d’azione che può essere riassunto in modo esauriente con le frasi “Distruggiamo il sistema, facciamo una rivoluzione!” e “Aiuto! Scappiamo che ci prende!”. Il tutto condito da un’insipida storia d’amore.
Personaggi appena abbozzati, sceneggiatura non approfondita e regia monotona: colpe imputabili a un singolo soggetto, ovvero Andrew Niccol. Chissà cosa sarebbe stato “In time” nelle mani di un regista/sceneggiatore più valido.

Voto: 42%

Trailer “In time”



domenica 29 gennaio 2012

THE IRON LADY

Recensione The Iron Lady
Titolo originale: id.
Nazione: Gran Bretagna
Anno: 2011
Genere: biografico
Durata: 1h45m
Regia: Phyllida Lloyd
Sceneggiatura: Abi Morgan
Fotografia: Elliot Davis
Musiche: Clint Mansell, Thomas Newman
Cast: Meryl Streep, Jim Broadbent, Susan Brown, Olivia Colman, Anthony Head, Harry Lloyd, Alice da Cunha, Phoebe Waller-Bridge, Iain Glen, Alexandra Roach, Victoria Bewick, Emma Dewhurst, Amanda Root, Eloise Webb, Alexander Beardsley, Nicholas Farrell, John Sessions, Julian Wadham, Richard E. Grant, Angus Wright, Roger Allam

Trama
The Iron Lady è Margaret Thatcher, ex Primo Ministro britannico, ormai ottantenne, in ritiro nella sua casa in Chester Square, a Londra. Dopo diversi anni dalla morte del marito Denis, la donna finalmente decide di sgombrare il suo guardaroba. Questo le risveglia una serie di ricordi e di emozioni al punto tale che Denis le appare, tale e quale com’era in vita: schietto, affettuoso e indisponente. Lo stato non troppo normale di Margaret peggiora durante la cena: la donna intrattiene i suoi ospiti deliziandoli al solito, ma a un tratto si distrae ricordando la cena durante la quale conobbe Denis 60 anni prima. Il giorno dopo, Carol convince sua madre a farsi vedere da un medico. Margaret sostiene di stare bene e inizia a raccontare al medico i ricordi dei momenti più importanti della sua vita.

Recensione
Margaret Hilda Thatcher nata Roberts, Baronessa Thatcher di Kesteven, è stata ininterrottamente primo ministro britannico dal 1979 al 1990. Donna determinata e ferrea, tanto che nel 1976 dopo aver tenuto un celebre discorso in cui attaccava duramente l'URSS, un giornale russo commento il suo intervento rivolgersi a lei con il termine “The Iron Lady”, la “Lady di ferro”, soprannome che si portò dietro per tutta la sua vita.
In “The Iron Lady” il termine “biografia” viene applicato molto liberamente, dal momento che gran parte del film si svolge ai giorni nostri, mostrando una donna affetta da demenza senile che parla con il marito morto. Mancanza di rispetto per la donna che riuscì a primeggiare in un mondo dominato dagli uomini? Forse sì, ma c'è anche un certo compiacimento che farà storcere il naso ai tanti avversari della Lady di Ferro. La verità è che “The Iron Lady” è una biografia imperfetta. Vengono raccontati gli eventi più importanti della Lady di ferro senza mai approfondire alcun aspetto. Lo spettatore, già confuso dai continui flashback, non riesce a comprendere cosa abbia davvero fatto la Thatcher, quale sia stato il suo contributo. C’è la Guerra delle Falkland, ma non vengono spiegati i motivi né come tale operazione militare ridiede forza al suo governo; ci sono le battaglie con i sindacati senza darne una minima valutazione; ci sono le contestazioni di piazza ma, come per magia, il ministro veniva sempre rieletto.
Phyllida Lloyd, dopo l’esordio al cinema con “Mamma mia”, credeva di poter ripetere la stessa formula prendendo di nuovo un talento unico come Meryl Streep e confidare totalmente nelle sue doti. Il personaggio è cucito addosso all’attrice, identica sia nell’aspetto che nelle movenze. Ammirare l’ennesima interpretazione magistrale è l’unico motivo per andare a vedere “The Iron Lady”. Praticamente perfetta. Tuttavia, se si ha intenzione di vedere un film-documentario, sarà di sicuro una cocente delusione. Non si impara nulla sulla Thatcher, tranne che era appassionata di politica e che tale passione rovinò i suoi rapporti familiari. Discreto anche il resto del cast. In particolare, Alexandra Roach, all’esordio al cinema, è una convincente giovane Thatcher.
“The Iron Lady” finisce per essere una storia biografica priva di informazioni valide sul personaggio e un racconto senza profondità o coinvolgimento. Colpa forse della paura di schierarsi apertamente nei confronti di un personaggio che, a causa del suo immenso potere, è sempre stato oggetto di critiche e di accese discussioni. Facile, dunque, ripiegare sul lato umano e privato del personaggio, cosa che tuttavia non ce lo restituisce con completezza. D’altro canto “The Iron Lady” ci consegna almeno una Meryl Streep meravigliosa come sempre, anche se in questa occasione sua bravura evapora subito come l’acqua che cade sulla sabbia del deserto.

Voto: 53%

Trailer “The Iron Lady”


sabato 28 gennaio 2012

THE DOUBLE

The Double Richard Gere
Titolo originale: id.
Nazione: USA
Anno: 2011
Genere: poliziesco, thriller
Durata: 1h38m
Regia: Michael Brandt
Sceneggiatura: Michael Brandt, Derek Haas
Fotografia: Jeffrey L. Kimball
Musiche: John Debney
Cast: Richard Gere, Topher Grace, Martin Sheen, Tamer Hassan, Stephen Moyer, Chris Marquette, Odette Annable, Stana Katic, Yuri Sardarov, Ivan Fedorov, Ed Kelly, Jeffrey Pierce, Lawrence Gilliard Jr., Mike Kraft, Andy Manning, Randy Flagler, Ella Maltby, Dan Lemieux


Trama
Il senatore Darden viene misteriosamente ucciso in un vicolo buio di Washington D.C. Il politico aveva da tempo importanti affari commerciali con la Russia. L’omicidio sembra portare la firma di Cassius, un killer russo che tutti credevano morto ormai da tantissimi anni. Paul Shepherdson è un agente della CIA in pensione che aveva dato la caccia per anni a Cassius e i suoi sette uomini, uccidendoli tutti. E’ infatti convinto che non possa trattarsi di lui, ma di qualcuno che ne abbia copiato il modus operandi. Dopo qualche tentennamento, Shepherdson accetta l’incarico e assieme al giovane agente dell’FBI, Ben Geary ritorna sulle tracce di Cassius, o di chiunque lo stia imitando nei suoi omicidi.

Recensione
Chi non avrà visto, per sua fortuna, il trailer di “The double”, avrà a disposizione mezz’ora per ragionare e cercare di indovinare chi sia Cassius, perché gli sceneggiatori Derek Haas e Michael Brandt, quest’ultimo autore anche di una regia mediocre, decidono subito di scoprire le carte e mostrarci la sua identità. Al quel punto si prosegue con Paul Shepherdson, ex agente della CIA, che continua a ripetere che Cassius è morto e Ben Geary, agente dell’FBI, che cerca di scoprire con teoremi davvero ridicoli ciò che lo spettatore sa fin dall’inizio.
“The double” ha una sceneggiatura che sembra acquistata al mercatino dell’usato sicuro: un compendio di cosa già viste e idiozie che demoliscono l’anima di una spy story. Alla fine, rimane un modesto poliziesco con un agente anziano che porta in giro quello giovane (ennesimo deja vu) alla ricerca di un killer che sembra tornato a uccidere dopo quasi due decenni.
In questa accozzaglia narrativa fa sempre piacere vedere un Richard Gere in splendida forma. A 62 anni, Mr. American Gigolo è come il vino: migliora invecchiando! Oltre al fascino, Gere migliora anche nelle sue movenze sul set. Utilizza un sottile linguaggio fatto di gesti e movimenti perfetti al millesimo di secondo. Le brevi pause prese prima di agire danno bene l’idea di come il suo personaggio rifletta e poi agisca. Un costante equilibrio che affascina anche chi ama le donne. In “The double” interpreta un agente della CIA in pensione. Ormai sembra un obbligo da contratto: nessun agente della CIA o dell’FBI può godersi la pensione dopo tanti anni di onorato servizio. Tutti vengono inevitabilmente richiamati in azione. Tutti, al principio, declinano l’invito. Tutti poi ci ripensano. Al fianco di Gere c’è Topher Grace, forse ancora un po’ acerbo, offre una prova anonima.
“The Double” non offre nulla di convincente. Il copione troppo pettegolo rovina ogni attesa, per chiudersi con qualche colpo di scena finale. E neanche quello convince.

Voto: 46%

Trailer “The double”


A.C.A.B.

A.C.A.B. - Recensione Film All Cops Are Bastards
Titolo originale: id.
Nazione: Italia
Anno: 2012
Genere: drammatico, poliziesco
Durata: 1h52m
Regia: Stefano Sollima
Sceneggiatura: Daniele Cesarano, Barbara Petronio, Leonardo Valenti
Fotografia: Paolo Carnera
Musiche: Mokadelic
Cast: Pierfrancesco Favino, Marco Giallini, Filippo Nigro, Domenico Diele, Andrea Sartoretti, Roberta Spagnuolo, Eugenio Mastrandrea, Eradis Josende Oberto


Trama
Cobra, Negro e Mazinga sono celerini, agenti di polizia impegnati nelle operazioni di ordine pubblico. Devono contrastare ultrà allo stadio, black bloc nelle manifestazioni di piazza, sfrattati, prostitute e delinquenti. Odiati da gran parte della comunità e costretti agli ordini dettati dalle strategie decise dall’alto, questi tre poliziotti, amici fraterni, devono sopportare la rabbia della folla che trasformano in violenza legalizzata contro i facinorosi. Le loro vite private non sono migliori dello schifo che trovano nelle strade. Dopo la famigerata missione nella scuola Diaz di Genova, sei anni dopo, i tre cercano il riscatto nell’azione e nell’istruzione alla fratellanza di Spina, un giovane agente ribelle.

Recensione
“A.C.A.B.”, acronimo di “All Cops Are Bastards” (“Tutti i poliziotti sono bastardi”), è uno slogan nato tra gli skinhead inglesi negli anni ‘70, in seguito fatto proprio dagli ultras delle squadre di calcio e dalla parte cattiva dei manifestanti di piazza. Un insulto feroce, un urlo di battaglia che vuole mettere un fossato tra due categorie di persone le cui vite sono, in realtà, le stessa.
Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Carlo Bonini, giornalista de “La Repubblica”. Bonini svela l’ambiente di una parte della polizia italiana, quella dei “celerini”, gli uomini del Reparto Mobile della Polizia di Stato, impiegato per combattere i disordini in strada.
La storia di Bonini va a finire nelle mani Stefano Sollima, regista di soap opera e serie televisive, tra cui alcune che si rifanno al genere criminal/poliziesco: “La squadra” e “Romanzo criminale - La serie”. Si tratta, dunque, di materiale a lui ben noto e difatti la messa in scena risulta molto realistica e ben sviluppata. Cobra, Mazinga e Negro sono reduci dal raid nel Liceo Diaz di Genova durante il G8, ricordo che aleggia per tutta la durata della pellicola. “A.C.A.B.” risente, tuttavia, dell’impostazione televisiva di Sollima, i personaggi vengono troppo semplificati e le loro storie tendono a confondere e distrarre da quella principale che, a dirla tutta, non decolla.
Partendo dai fatti di cronaca (il già citato Liceo Diaz, l’omicidio di Giovanna Reggiani a Tor di Quinto, l’assassinio di Filippo Racidi a Catania e quello di Gabriele Sandri a causa di un colpo di pistola sparato da un agente dopo una rissa tra tifosi in un’area di servizio dell’autostrada A1), Sollima si concentra troppo sui fatti dimenticando di creare una storia cinematografica. La confusione generale è dettata anche dalle incerte scelte registiche, in particolar modo durante le scende di guerriglia urbana.
“A.C.A.B.” termina in un’atmosfera da film di zombie, poliziotti in attesa che rimane tale perché non è possibile un finale. Le cose non cambiano e tutto ritorna al punto di partenza. Non c’è soluzione perché si tratta di una guerra tra poveri, nessuno può averla vinta sugli altri, perché tutti nascono e vivono da perdenti. I potenti e le istituzioni restano a guardare, nascosti nei loro palazzi.
Di discreto livello il cast: da segnalare un Pierfrancesco Favino sempre bravo, ma un po’ sopra le righe; perfetto, invece, Marco Giallini alla sua migliore performance. La colonna sonora di “A.C.A.B.” è di ottima fattura e perfettamente funzionale. La musiche originali sono composta e realizzata dai Mokadelic; le altre sono canzoni, tra gli altri, dei Joy Division, The Chemical Brothers, Pixies. Non poteva mancare “Seven Nation Army” dei White Stripes, brano diventato un inno negli stadi di calcio.

Voto: 60%

Trailer A.C.A.B. (All Cops Are Bastards)


venerdì 27 gennaio 2012

50 E 50

Titolo originale: 50/50
Nazione: USA
Anno: 2011
Genere: commedia, drammatico
Durata: 1h40m
Regia: Jonathan Levine
Sceneggiatura: Will Reiser
Fotografia: Terry Stacey
Musiche: Michael Giacchino
Cast: Joseph Gordon-Levitt, Bryce Dallas Howard, Seth Rogen, Anna Kendrick, Anjelica Huston, Philip Baker Hall, Marie Avgeropoulos, Andrew Airlie, Sarah Smyth, Veena Sood, Julia Benson, Jessica Parker Kennedy, Luisa D'Oliveira, Sugar Lyn Beard, Stephanie Belding


Trama
Adam ha ventisette anni, un lavoro piuttosto soddisfacente, convive con la sua fidanzata e trascorre gran parte del suo tempo libero con il suo migliore amico, Kyle. Sofferente alla schiena, si reca in ospedale per effettuare dei controlli. Il risultato è un macigno: Adam è affetto da una rara forma di cancro e ha soltanto il 50% di sopravvivere. Prima l’incredulità, poi la rabbia e la rassegnazione, aiutato anche da una giovane e inesperta terapeuta.

Recensione
Su una malattia grave come il cancro può non esserci nulla da ridere, ma dopo aver vissuto questa tragedia e averla superata, lo sceneggiatore Will Reiser ha sentito la necessità di raccontare la sua esperienza, con un sorriso. “50/50” è l’esatta probabilità che lanciando una moneta esca testa o croce, la stessa probabilità di sopravvivere alla malattia che i medici prospettano ad Adam Lerner, un ragazzo di 27 anni con tanta voglia di vivere. E’ il Neurofibrosarcoma Schwannoma, una rara forma di cancro, che si nascondeva dietro un banale mal di schiena.
Il lavoro più difficile era quello del regista Jonathan Levine, cercare di far sorridere con un soggetto drammatico come il cancro, senza mai cadere troppo nella commedia o nel drammatico, rispettando sempre la malattia, anche nelle situazioni più dissacranti. Il regista è facilitato nel compito da Reiser, autore di dialoghi tanto semplici quanto meravigliosi (basti citare la scena in cui Adam rivela ai genitori la sua malattia, introducendo il discorso con “Avete visto Voglia di tenerezza?”), ma è riuscito nel bilanciare i momenti drammatici con quelli divertenti, lasciando sempre prevalere quel senso di sfida nei confronti della malattia. Chi meglio esprime il tono della storia è Seth Rogen, nei panni dell’amico di Adam, in apparenza superficiale, volgare e indelicato. Rogen è anima e corpo nel ruolo, essendo grande amico di Will Reiser quando fu colpito dalla malattia. Inoltre, Seth ha interpretato un ruolo molto simile in “Funny people” di Judd Apatow. Adam è Joseph Gordon-Levitt (“(500) giorni insieme”, “Inception”), volto da bravo ragazzo solcato da tutte le tragiche fasi della malattia: la scoperta, l’accettazione, lo sconforto, la voglia di vivere, la paura. Scoprirà chi sono le persone attorno a lui su cui può contare realmente. Fa di Adam un personaggio semplice e simpatico e, come tale, ci si preoccupa per lui perché si sa che la storia ha il 50% di finire molto male. Ennesima grande prova di Anjelica Huston nei panni della mamma ossessiva e protettiva che deve già reggere il silenzio del marito, affetto da morbo di Alzheimer. Presente in poche scene, ma la Huston mostra tutta la sua indiscussa bravura. Positive anche le prove delle due ragazze: Anna Kendrick (“Tra le nuvole”) è la dolce ed inesperta terapista, Bryce Dallas Howard, la ragazza di Adam che dovrà assumersi la responsabilità di gestire una situazione difficile e tragica. Non bisogna dimenticarsi Philip Baker Hall, un’icona del cinema, nei panni di Alan, uno degli anziani “amici di ospedale” di Adam. Se la malattia è di per sé una tragedia, il fatto che sia Adam l’unico giovane a sottoporsi alla chemioterapia, fa comprendere quanto ancor più tragica sia questa storia. Contemporaneamente, il clima di tristezza viene stemperato dagli stessi anzianotti che gli offrono caramelle alla marijuana!
Il finale, in apparenza sommesso e distaccato, regala momenti toccanti e commoventi. Chi è alla ricerca di una commedia brillante dai contenuti non banali non deve perdersi “50/50”. Chi, invece, ha paura di angosciarsi passi oltre. Nonostante l’atmosfera che si respira è divertente, la storia ha un tema non di certo allegro. Il cancro è una malattia da incubo. Chissà se, come sostengono alcuni, affrontare la vita con un sorriso può essere una valida medicina. Accettare sempre il proprio destino, con un sorriso. Ah, e come quasi sempre capita in un film indipendente, la colonna sonora è fantastica.

Voto: 80%


giovedì 26 gennaio 2012

CRAZY, STUPID, LOVE

Crazy, stupid, love
Titolo originale: id.
Nazione: USA
Anno: 2011
Genere: commedia, sentimentale
Durata: 1h58m
Regia: Glenn Ficarra, John Requa
Sceneggiatura: Dan Fogelman
Fotografia: Andrew Dunn
Musiche: Christophe Beck, Nick Urata
Cast: Steve Carell, Julianne Moore, Ryan Gosling, Emma Stone, Marisa Tomei, Kevin Bacon, Mekia Cox, Analeigh Tipton, Jonah Bobo, Joey King, Beth Littleford, John Carroll Lynch, Liza Lapira, Josh Groban, Julianna Guill


Trama
Cal Weaver è un uomo sulla quarantina con una bella casa, una famiglia ideale e un lavoro soddisfacente. Il suo sogno si infrange quando la moglie, confessandogli di averlo tradito con un collega, vuole il divorzio. Cal cade in depressione: trascorre le sere al bancone di un bar bevendo una vodka ai mirtilli annacquata. Le lamentele sulla sua triste vita vengono notate da Jacob Palmer, un affascinante trentenne che ogni sera rientra a casa con una nuova conquista. Jacob vuole a tutti costi ricostruire l’immagine di Cal in modo da fargli riprendere in mano la sua vita.

Recensione
“Crazy, stupid, love” sembra il titolo dell’ennesima stupida commedia sentimentale americana. Invece, la seconda fatica della coppia dei registi Glenn Ficarra e John Requa che segue “Colpo di fulmine: il mago della truffa”, che ha diviso critica e pubblico, è un divertente e brillante film corale. I due mettono in scena una collezione di situazioni che descrivono l’amore dei nostri giorni che seppur non siano originali, non annoiano mai. “Crazy, stupid, love” ha, infatti, un ritmo pimpante e, a parte alcuni brevi momenti un po’ confusi e prolissi, si lascia seguire con piacere sia nell’aspetto romantico che ludico. I personaggi offrono un ampio spaccato delle storie d’amore: i coniugi in crisi, il latin lover, l’amante, l’imbranato, il ragazzino innamorato della baby sitter che a sua volta è invaghita del padre. Interpreti sono attori di alto livello, molti dei quali prestati alla commedia: Steve Carrel ripropone il suo classico personaggio, qui adatto per il ruolo di Cal; Julianne Moore è sempre perfetta quando interpreta donne tormentate; Ryan Gosling stupisce anche nei panni di frivolo seduttore; Emma Stone è ormai lanciata, pronta per ruoli importanti; fantastica Marisa Tomei nei panni della tranquilla professoressa assatanata a letto; Kavin Bacon si mostra un po’ a disagio, relegato ad interprete secondario, quasi una comparsa.
La regia di Ficarra e Requa è di ottima fattura: nella scena iniziale i piedi delle coppie sedute al tavolo del ristorante descrivono la loro intesa sessuale e e, in seguito, la mdp comprime tutte le conquiste di Cal in una singola scena, girando tra i tavoli del bar. Ottima la scelta delle musiche, da “Save Room” (John Legend) della citata scena iniziale alle musiche elettroniche dei Thievery Corporation e Goldfrapp durante le scene nel bar e alle tracce indie rock nei momenti più nostalgici e riflessivi del film. La ciliegina sulla torta è rappresentata da “Dirty Dancing” con tanto di scena che ripercorre quella del celebre film.
“Crazy, stupid, love” è un’interessante e gradevole commedia romantica, capace di rianimare le classiche storie sulla ricerca dell’anima gemella e le regole di seduzione. Uno sviluppo scontato ma divertente che si chiude con un finale che, in realtà, poteva essere fatto decisamente meglio.

Voto: 77%


martedì 24 gennaio 2012

PERIMETRO DI PAURA

Titolo originale: 100 feet
Nazione: USA
Anno: 2008
Genere: horror
Durata: 1h45m
Regia: Eric Red
Sceneggiatura: Eric Red
Fotografia: Ken Kelsch
Musiche: John Frizzell
Cast: Famke Janssen, Bobby Cannavale, Ed Westwick, Michael Paré, Patricia Charbonneau, John Fallon, Kevin Geer, Tibor Pálffy, Kembe Sorel, Evelyne Kandech, Ken Kelsch


Trama
Durante dell’ennesima violenta lite con il marito, un poliziotto aggressivo e manesco, Marnie Watson lo uccide. Nulla è servita la legittima difesa a farle evitare il carcere. Marnie viene riportata a casa, dove potrà scontare l’ultimo anno di condanna agli arresti domiciliari. Viene costretta ad indossare una cavigliera elettronica che la costringe a non allontanarsi più di 100 passi da casa sua. Sola e costretta a rimanere in casa, Marnie dovrà vedersela con qualcosa di terrificante e misterioso che infesta la sua casa.

Recensione
Dopo aver scritto due dei film thriller/horror più interessanti degli anni ’80, “The hitcher - La lunga strada della paura” e “Il buio si avvicina”, Eric Red non era mai riuscito a proporre qualcosa di altrettanto valido. Neanche “The hitcher”, l’inutile seguito del suo film d’esordio, lo aveva risollevato dall’oblio. Si presenta adesso con “Perimetro di paura” che in Italia ha saltato l’uscita cinematografia, arrivando direttamente in TV e per l’home video.
“Perimetro di paura” vede donna costretta in casa agli arresti domiciliari in seguito all’omicidio del marito. La donna lo ha fatto soltanto per difendersi dalle violenze dell’uomo che la sua professione poliziotto, difensore della giustizia, non lo aveva frenato dall’essere brutale e manesco nei suoi confronti. Dopo aver trascorso del tempo in carcere, Marnie deve scontare gli ultimi dodici mesi nella sua casa. Qui rimpiangerà il carcere a causa della presenza in casa del fantasma del marito, non meno incazzato di quando era in vita. L’impossibilità di fuggire dalla sua casa poteva dar luogo ad una ambientazione inquietante e claustrofobica. Inspiegabilmente Red non punta né sulla claustrofobia né sull’angoscia. A dire il vero, non è ben chiaro su cosa punti. “Perimetro di paura” si limita alle apparizioni del fantasma, figura sfocata che non spaventa, ma che infastidisce per la brutale violenza, una riproposizione delle sue malefatte terrene. Nulla apporta alla trama, già di per sé esile e spesso incongruente, la scoperta che Marnie farà sull’ex marito, dato che la personalità dell’uomo è ben chiara fin dall’inizio. Shanks, il poliziotto e compagno della vittima, è un personaggio creato male e interpretato con troppa enfasi da Bobby Cannavale: la durezza per la perdita dell’amico viene sopraffatta da un’arroganza e maleducazione non consona a un’agente di polizia che vuole e deve apparire come figura positiva. E poi dove trova il tempo di rimanere ventiquattro ore su ventiquattro sotto casa della donna? Neanche fosse una pericolosa terrorista e non regge la scusa di sentirsi in colpa per non averla difesa prima dell’omicidio. Inutile la presenza degli altri (pochi) protagonisti: il ragazzo del supermercato, interpretato da un pessimo Ed Westwick (Chuck Bass di “Gossip Girl”). Arriva e già si sa cosa farà e come finirà. Ancor più inutile la breve apparizione del sacerdote, ridicolo sia nei modi che nelle parole. Famke Janssen, nei panni di Marnie, la donna protagonista, non coivolge privando lo spettatore di un interesse empatico nei suoi confronti.
“Perimetro di paura” è un film pessimo. Difficile trovare qualche elemento valido per salvarlo da un giudizio inclemente: tensione e atmosfera nulle, interpretazioni scialbe, trama esile e risibile, nessun analisi sul difficile passato della protagonista, e un finale indecente. Un film inutile, da evitare.

Voto: 35%


sabato 21 gennaio 2012

DOVE VEDERE FILM IN STREAMING

Dove guardare film dopo la chiusura di Megavideo e Megaupload
La chiusura di Megavideo e Megaupload da parte dell’FBI ha generato una vera e propria rivoluzione su internet da parte di utenti che su twitter, facebook, forum e siti di streaming hanno mostrato totale solidarietà ai siti oscurati e al suo fondatore, il tedesco Kim Schmitz. Difficile credere a gesti di altruismo da parte di queste persone. Lo conferma il fatto che, in realtà, le ricerche più effettuate su Google riguardano siti alternativi a Megavideo e Megaupload. Per la serie: morto un papa se ne fa un altro!
La domanda più diffusa è: “Adesso, dove guardare i film in streaming?” oppure “Quali sono altri siti dove scaricare i film?”. Nessuno sa chi sia Kim Schmitz e, probabilmente, neanche gli interessa. Diciamolo subito, questo signore non è un martire, né un benefattore. Kim Schmitz nasce come hacker, e fin qui, la sua è un’attività opinabile, in bilico tra la libertà a tutti i costi e l’illegalità, fino a reali atti criminali, anche se in quest’ultimo caso è più corretto parlare di cracker. L’hacker entra in reti informatiche di grosse società al fine di dimostrane la vulnerabilità e i sistemi di sicurezza spesso fallati. Lo stesso Schmitz, in gioventù, violò le reti di Deutsche Telekom e, subito dopo, ne divenne consulente. A dire il vero, il giovane entrò nella rete di telefonia mobile tedesca per fare chiamate a spese degli altri clienti. Ebbene, se vi arrivasse una bolletta di migliaia di euro vi incazzereste? Ovvio, ma ve la prendereste con la compagnia telefonica. La brutta figura di Deutsche Telekom fu nascosta dai dirigenti assumendo questo giovane esperto e intraprendente.
Kim Schmitz, aka Kimble, aka Kim Dotcom non si ferma qui e così fa spesso visita alle aule di tribunale: insider trading, pirateria informatica, bancarotta fraudolenta e furto di dati personali sono soltanto alcuni dei reati commessi dal ragazzone tedesco. Si può, dunque, pensare che Schmitz abbia passato la sua vita in cella. Nulla di tutto questo, perché almeno fino a qualche giorno fa, la sua vita era invidiabile: ville e auto di lusso, belle donne attratte dalla mole di danaro che passavano nelle mani di Schmitz.
Megavideo e Megaupload, infatti, non sono siti pro bono. Secondo Alexa, società che valuta il ranking di un sito, Megaupload è 72° sito più visitato al mondo (22° in Italia) e Megavideo è il 174° (41° in Italia). Assieme, muovono circa il 5% dell’intero traffico internet planetario. Tutto ciò ovviamente si traduce in soldi derivanti dalle pubblicità. Inoltre, alla faccia della libertà e della solidarietà, lo streaming su Megavideo è limitato da un blocco, tanto che una delle domande più richieste su Google è proprio “Come eliminare il limite di 72 minuti di Megavideo?”. Ufficialmente, l’utente deve pagare un abbonamento mensile di € 9,99. Neanche troppo economico dato che un abbonamento a Mediaset Premium Cinema costa appena il doppio ed uno a Sky Cinema costa il triplo. Entrambi, però, sono legali: Mediaset e Sky pagano una barca di soldi per i diritti di trasmissione dei film, per Megavideo e Megupload Schmitz non fa davvero nulla, dato che ci pensano gli utenti ad effettuare gli upload sui server di Schimtz! E neanche questi utenti lo fanno in nome della libertà di scambio come avveniva con Napster e WinMX, e come potrebbe oggi avvenire con eMule che sfortunatamente tutti snobbano. Nei sistemi p2p le persone condividono ciò che hanno sul proprio hard disk, mettendolo a disposizione degli altri utenti e prendendo file dagli hard disk condivisi dagli altri utenti. Praticamente il perfetto “do ut des” che, per chi non ha studiato il latino, significa “io do affinche tu dia”. Insomma, lo scambio di file privo di lucro. Ritornando ai “benefattori” che caricano film sui server di Megavideo e Megaupload (e da oggi su altri siti), queste persone guadagnano per ciò che fanno: ci sono tabelle ben studiate in base alle quali si viene pagati per ogni download del materiale caricato!
La definizione “protetto da copyright” è sempre molto teorica e, in tanti, la vedono come un autoritarismo da parte delle major discografiche e case di produzioni cinematografiche. In realtà, la dicitura vuole difendere il lavoro di una, decine, centinaia di persone. Nel caso di un film, se la riproduzione è semplice ed economica, la sua produzione è un lavoro che richiede il coordinamento di una troupe di centinaia di persone, l’utilizzo di attrezzature costosissime, l’organizzazione di molteplici attività. E’ necessario avere a disposizione un grosso budget per pagare un gran numero di figure professionali che ruotano attorno a un film. Oltre agli attori, al regista e sceneggiatore, esistono tante persone che vivono nascoste al di là della macchina da presa: scenografi, truccatori, montatori, assistenti, costruttori, coordinatori di reparti, disegnatori, progettisti, truccatori, controfigure, doppiatori, fotografi, compositori musicali e costumisti.
Molti si lamentano che l’industria cinematografica sia piena di soldi, così è giusto non andare al cinema e guardarsi un film a casa gratis. Beh, oltre ad attori famosi come Brad Pitt, Leonardo DiCaprio, Meryl Streep, Natalie Portman c’è un sottobosco di professionisti che non hanno né i soldi né la fama dei protagonisti dello star system hollywoodiano.
Infine, non bisogna dimenticare quante videoteche hanno dovuto chiudere a causa della possibilità di guardare film in streaming gratis su internet. Qualcuno pensa al fatto che queste persone erano dei padri di famiglia con un onesto lavoro che consentiva di portare soldi a casa?

Queste alcune considerazioni trovate in giro per internet:


E adesso? come farò a vedere le serie tv e soprattutto i film che non ho i soldi per andare a vedere al cinema?
Perché, con la scusa di non avere i soldi vai in pizzeria e al momento del conto scappi? Rubi al supermercato? Entri nei negozi e rubi una maglia di Liu Jo?

Il mio ragazzo oggi mi ha lasciato perché hanno chiuso Megaupload e adesso cosa posso fare sono triste vorrei fare l’abbonamento a Fileserver ma poi mi sembra di tradire Megavideo. Secondo voi cosa posso fare?
Spero fosse un utente finto che avesse voglia di scherzare.

Megavideo è stato chiuso dall’FBI (fott*ti americani del c*zzo) per questioni di copirayt, ormai lo sanno tutti!
Magari il risparmio dei biglietti non pagati al cinema fosse servito per un corso d’inglese!

Questo è troppo! Adesso basta, dobbiamo arribellarci tutti! Hanno chiuso Megaupload ed arrestato Kim Schmitz. Ma guardatevi bene rottiin*ulò del nuovo ordine mondiale! Se togliete internet libero ai giovani, poi non gli rimane più niente, e saranno costretti a fare i conti con la realtà nuda e cruda, vi state scavando la fossa da soli!!
Internet libero = mi guardo i film gratis: equazione perfetta! Arribelliamoci tutti!!!

Il mio Unico grande amore di nome Megavideo è stato kiuso dove posso vedermi ora naruto e dragonboll e tutti gli anime??
Una ragazzina che non ha le idee chiare sull’amore!

Come passerete i tempi morti adesso che non c’è più Megavideo?
Senza parole!

E’ un vero peccato, soprattutto per quei cartoni e film antecedenti agli anni ‘90, che ormai non si trovano più da nessuna parte.
In questo caso si può essere d’accordo. Una delle cose positive del filesharing e dello streaming è la possibilità di reperire materiale altrimenti introvabile. Oltre a film ormai fuori commercio, spesso a causa delle scelte ridicole dei distributori italiani, molti film interessanti non arrivano in Italia. Addirittura, in altri casi, ad esempio Donnie Darko, inizialmente un flop al cinema, fu proprio il successo su internet a rivalutarlo, riproporlo con successo nelle sale e distribuirlo in tutto il mondo.

Megaupload è stato chiuso per violazione del copyright. Domani toccherà a Facebook e poi a Wikipedia quindi ad Amazon, e poi ad internet, quindi partiranno le megaretate. Per ogni mega scaricato e per ogni minuto di megaupload guardato sul pc si rischia un anno di galera. La polizia ha già fatto un censimento. 45 milioni di italiani passeranno il fine settimana al fresco.
Associare le attività di Megaupload a quelle enciclopediche di Wikipedia, sociali di Facebook e commerciali di Amazon fa capire come sia distorto il pensiero di molti ragazzi. La Polizia Postale può fare qualsiasi controllo, ma la visione di film coperti da copyright non determina la detenzione. Soltanto la condivisione a scopo di lucro è reato.

Aiuto!!! un link per vedere Cindarella Story in stream? Ovviamente non di Megavideo! stramaledetti che l’hanno tolto!
Ovviamente, un’altra che si preoccupa della libertà di espressione.

E’ inutile continuare a lamentarsi per le chiusure di megaupload e megavideo. Conoscete dei siti streaming alternativi a megavideo?
Ecco, finalmente uno propositivo. Bisognerebbe candidarlo alla Presidenza del Consiglio.

Comunque chiudendo Megavideo non hanno fatto altro che far incazzare il popolo!
Dimentica che hanno chiuso un’associazione a delinquere.

Mega urgente per sapere fino a quanto potrò resistere!? Quanto durerà la questione del megavideo e del megaupload? E soprattutto perchè l’FBI si è dovuta intromettere in questo modo? io voglio vedere i miei telefilm! :( vi prego aiutatemi...
Un megaaiuto a questa ragazzina in megaproblemi megaesistenziali!

Non vinceranno mai. Possono anche chiudere Megavideo, ma apriranno altri portali. Il Congresso sta rappresentando gli interessi di una nicchia di società. Credo che tali decisioni da parte del Governo americano dimostrino di come la politica sia lontana dal volere dei cittadini. Se facessero un referendum dite che tali atti potrebbero mai essere approvati??? Non credo proprio. Ed è inutile pararsi il cu*o dietro alla storia del copyright. Le attuali leggi sul copyright a quanto pare non piacciono alla maggior parte dei cittadini, tuttavia i governi continuano a promulgarne.
Vorrei sapere che lavoro fa questo utente, oppure quello del padre. Dopodiché mi organizzerei in modo da fare un referendum secondo il quale tale lavoro non deve essere retribuito. Niente, credo sia impossibile far capire a queste persone che quanto stanno vedendo non gli appartiene e che il lavoro deve essere retribuito. Il digitale sta cambiando il mondo ed è sicuro che si dovranno adeguare come ha già fatto Apple con iTunes.

Ma vi rendete conto ke skifo fanno le persone??? C’è la crisi e aumentano le tasse la benzina tutto....ora la gente ke modestamente, visto ke deve pagare per la crisi con tutti i suoi effetti, vuole vedersi un film gratis su mediavideo non puó piu farlo... Ma cosa vogliono da noi?!? Vogliono vederci morire? Scommetto chi fa i film non è un morto si fame non fli bastano tutti i soldi ke gli arrivano ma non posso credere ad un mondo così maligno ed egoista.
Il poveretto è vittima della crisi e non gli fanno neanche scroccare gratis un film. Oltre al fatto che non tutti gli attori si chiamano Brad Pitt o Leonardo DiCaprio, ma ci sono molti che stentano ad andare a vanti, questo bimbominkia decelebrato non riesce a capire che se vede un film a casa gratis, evita di andare al cinema mettendo ancora più in crisi i gestori delle sale cinematografiche? Il maligno ed egoista sembra lui!


venerdì 20 gennaio 2012

MEGAVIDEO E MEGAUPLOAD CHIUSI DALL'FBI

Megavideo non funziona Megaupload
Una decisione che ha del clamoroso: l’FBI ha chiuso i siti Megavideo e Megaupload, e ha arrestato Kim Schmitz, il loro fondatore, assieme ad altre tre persone in Nuova Zelanda. L’azione effettuata, in collaborazione con il Dipartimento della Giustizia americano, si verifica 24 ore dopo lo sciopero per protestare contro il Sopa, legge antipirateria in discussione al Congresso che, secondo molte aziende famosissime come Google e Wikipedia, rischia di limitare la libertà di espressione online.
Megavideo è il sito più famoso per lo streaming online, spesso riguardante materiale coperto da copyright. Ufficialmente Megavideo è una sorta di hard disk online nato con l’intenzione di permettere ai suoi utenti di archiviare file di dimensioni che non possono essere inviati come allegati nelle email e per condividere online file con altri utenti. Questo è l’uso ufficiale e legale del sito, ma in realtà moltissimi caricano film, musica e software piratati per poi condividere i link su siti e forum. Secondo l'accusa, l'attività di Megaupload e Megavideo è costata più di 500 milioni di dollari in mancati profitti ai legittimi proprietari del copyright.
Megaupload e Megavideo guadagnano con i banner pubblicitari presenti sulle loro pagine facendo pagare gli utenti che vogliano scaricare più di un certo numero di file a velocità molto più elevata.
In un comunicato ufficiale diramato poco prima della chiusura, Megaupload considerava ridicole le accuse di violazione del copyright, dichiarando che “la stragrande maggioranza del traffico generato dal sito è legale. Siamo qui per restare”. Non è assolutamente d’accordo il Dipartimento di Giustizia, secondo il quale Megaupload e Megavideo “hanno riprodotto e distribuito illegalmente su larga scala copie illegali di materiale protetto da copyright, tra cui film, anche prima dell'arrivo in sala, musica, programmi televisivi, ebook e software. Le accuse nei confronti degli indagati sono molto pesanti: associazione a delinquere finalizzata all'estorsione, al riciclaggio e alla violazione del diritto d'autore. Rischiano oltre 50 anni di prigione ciascuno.



FEDERICO FELLINI

Federico Fellini
Federico Fellini è riconosciuto in tutto il mondo uno migliori registi e sceneggiatori della storia del cinema, Oscar alla carriera nel 1993, dopo aver vinto quattro premi Oscar per il miglior film straniero: “La strada” nel 1957, “Le notti di Cabiria” nel 1958, “8 ½” nel 1964 e “Amarcord” nel 1975. Altre statuette sono state vinte dai suoi film in diverse categorie.
Federico Fellini nasce a Rimini il 20 gennaio 1920, figlio di Ida Barbiani, romana, e di Urbano, originario di Gambettola, piccolo comune della provincia di Forlì-Cesena. Inizia il rapporto con il cinema quando era al liceo. Per entrare gratis nel cinema Fulgor, situato in Corso d’Augusto 162, Rimini, il gestore gli commissionava le caricature dei divi del cinema. Divento un lavoro nel 1938 quando inizio a collaborare con la “Domenica del Corriere” e con il settimanale di Firenze “420”. Con la scusa di frequentare la facoltà di giurisprudenza, Fellini si trasferisce a Roma dove entra nella redazione del “Marc’Aurelio”, un periodico di satira. Scrive monologhi per Aldo Fabrizi e collabora alle trasmissioni di varietà della radio dove conosce la giovane attrice Giulietta Masina, che sposerà il 30 ottobre 1943. La coppia avrà soltanto soltanto un figlio, morto dopo soltanto un mese di vita. Federico Fellini si impone presto come sceneggiatore. Lavora a “Roma città aperta” e “Paisà” stringendo una produttiva amicizia con Roberto Rossellini. Inizia a collaborare con il commediografo Tullio Pinelli, formando una coppia inossidabile, richiesta da moltissimi registi.
La prima regia di Federico Fellini è datata 1950, quando Alberto Lattuada lo vuole assieme a lui in regia. E’ il film “Luci del varietà” che i due si autoproducono e che li sommerge di debiti. Anche il suo primo film diretto da solo, “Lo sceicco bianco” segue la stessa sorte. Per fortuna, Fellini non demorde e nel 1953 ottiene un grande successo con “I vitelloni”, Leone d’argento a Venezia. Seguono un gran numero di film che hanno permesso al cinema italiano di imporsi nel mondo.
Federico Fellini rimane ancora oggi uno dei registi ad aver vinto più Oscar. L’ultimo, alla carriera, nel 1993 fu la ciliegina sulla torta di una carriera cinematografica unica e irripetibile. Così poté spegnersi pochi mesi dopo, a Roma, il 31 ottobre.

Federico Fellini riceve l’Oscar alla carriera


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mercoledì 18 gennaio 2012

TIMECRIMES

Recensione Timecrimes
Titolo originale: Los cronocrimenes
Nazione: Spagna
Anno: 2007
Genere: fantascienza, thriller
Durata: 1h32m
Regia: Nacho Vigalondo
Sceneggiatura: Nacho Vigalondo
Fotografia: Flavio Martinez Labiano
Musiche: Chucky Namanera
Cast: Karra Elejalde, Candela Fernandez, Barbara Goenaga, Nacho Vigalondo, Juan Inciarte


Trama
Hector si è appena trasferito con la moglie in una casa isolata nella tranquilla campagna. Con il binocolo scorge nel bosco una ragazza nuda nella foresta. Incuriosito si reca sul posto e mentre vede la ragazza sdraiata priva di conoscenza, viene colpito con un paio di forbici da un uomo con il volto completamente coperto da una benda insanguinata. Fuggito via si rifugia in una casa vicina dove scopre un laboratorio nel quale si trova una macchina del tempo.

Recensione
“Timecrimes” è un film strutturato in tre segmenti di trenta minuti, rivissuti da un differente Hector, il protagonista della storia. Ciò poteva ripetere il successo di film come “Ricomincio da capo” o “Lola corre”, ma “Timecrimes” manca di sufficiente materiale tale da offrire interesse. Non è un problema di low budget, perché il cinema ci ha regalato capolavori, anche di fantascienza, realizzati con pochi soli. La trama di “Timecrimes” è così esplicitamente tracciata da non lasciare spazio al mistero tanto che il film appare come un esperimento registico: medesime scene riviste da diversi punti di osservazione.
E’ sempre difficile maneggiare storie di viaggi nel tempo senza precipitare in situazioni assurde e inspiegabili. Il paradosso temporale è plausibile ma la sua realizzazione filmica crea una facile serie di eventi inverosimili. In realtà, non sono questi ad essere i più inverosimili in “Timecrimes”, perché sono altre le situazioni a far storcere il naso: un laboratorio che nasconde un’incredibile invenzione, tale da cambiare il destino del mondo, viene lasciata senza sorveglianza, con un solo uomo a custodirla, e un cancello che anche un’utilitaria riesce a forzare.
Non aiuta di certo la totale mancanza di charme del personaggio e dell’attore, Karra Elejalde. Sia lui che gli altri hanno comportamenti poco naturali, troppo forzati dalla sceneggiatura. Meglio sorvolare sulle interpretazione di tutto il cast, davvero pessime, in particolare quella dello stesso regista Nacho Vigalondo nei panni del giovane custode.
“Timecrimes” è un film dall’idea interessante (una variante originale di un tema classico) ma che si risolve in un puzzle dalle tessere che, di natura non combaciano e che l’autore tagliuzza in modo da poterle incastrare. Inutile, dunque, porsi domande, perché le risposte, se esistessero, sarebbero insensate. L’unico aspetto interessante della pellicola, ed è un po’ triste ammetterlo, è la visione di una bella ragazza che si spoglia nel bosco. Classica scena da thriller/horror alla quale subito segue l’ovvia efferata violenza che prevede l’utilizzo un paio di forbici.

Voto: 42%


martedì 17 gennaio 2012

LADY BURLESQUE CABARET (TEATRO ARCILIUTO - ROMA)

Lady Burlesque Cabaret (Teatro Arciliuto)
Al Teatro Arciliuto in Vicolo di Montevecchio, a Roma, va in scena “Lady Burlesque Cabaret”, una serie di numeri intriganti e ironici. Uno spettacolo raffinato e sensuale che vede protagoniste Albadoro Gala, Marlò e Vesper Julie, finaliste del fortunato reality televisivo di Sky: spogliarelli, monologhi e dialoghi con gag, canzoni di autori classici, musica comica, jazz, blues, swing e ragtime, racchiusi in una trama che mette in rilievo le caratteristiche delle artiste accompagnate dal presentatore, Gianfranco Finocchi in arte Mr. Phino attore comico e cantante, e Claudio Zitti, comico, servo di scena, clown, mimo e pianista.
Lo spettacolo è preceduto da aperitivo, cena e spettacolo sempre presso l’Arciliuto, Teatro della Musica e della Poesia. “Lady Burlesque Cabaret” è un perfetto mix di coreografie, musica e dialoghi, unendo il piacere della buona tavola alle arti giocose e ammalianti.


SHAME

Shame recensione
Titolo originale: id.
Nazione: Gran Bretagna
Anno: 2011
Genere: drammatico
Durata: 1h41m
Regia: Steve Mcqueen
Sceneggiatura: Abi Morgan, Steve Mcqueen
Fotografia: Sean Bobbitt
Musiche: Harry Escott
Cast: Michael Fassbender, Carey Mulligan, James Badge Dale, Mari-Ange Ramirez, Nicole Beharie, Alex Manette, Elizabeth Masucci, Hannah Ware, Lucy Walters, Rachel Farrar, Loren Omer, Lauren Tyrrell, Marta Milans, Jake Richard Siciliano, Robert Montano


Trama
Brandon è un trentenne di bella presenza e un ottimo lavoro. E’ ossessionato dal sesso: si masturba in modo compulsivo, ha un gran numero di riviste pornografiche, si intrattiene su siti porno e chat erotiche, frequenta prostitute. Quando arriva in casa la sorella Sissy, una ragazza dolce e problematica, le sue condizioni peggiorano e così Brendon precipita in un inferno fatto di ossessioni perverse dal quale non riesce ad riemergere.

Recensione
Quale può essere l’origine del desiderio compulsivo di sesso da parte di un uomo? Anche se il sesso è di solito piacere che attinenza può avere con il dolore? “Shame” è la storia di due fratelli il cui passato familiare, lasciato nell’ombra, non deve essere stato affatto piacevole. Brandon è un trentenne di successo ma è ossessionato dal sesso: prostitute, masturbazione, voyeurismo, omofilia. Nessuna distinzione, nessun piacere. Nelle esplicite scene di sesso mostrate in “Shame” non c’è nulla di sensuale e di eccitante. L’atto sessuale è vissuto dal protagonista con freddezza, senza alcun reale coinvolgimento o piacere. Il suo volto è percorso da un mix di ferocia e sofferenza. Non appena finisce, in lui riemerge subito la necessità di reiterare l’atto in un vortice infinito di insoddisfazione. Non cerca un rapporto stabile, non c’è ricerca d’amore. Nell’unico caso in cui Brandon frequentando una collega instaura una piacevole relazione e un feeling “di testa”, quando si ritrovano a letto con la ragazza fallisce nell’atto sessuale, perché impotente fisicamente, forse spaventato dal rischio di instaurare una vera relazione. Il sesso è solitudine, l’amore è complicità e affiatamento.
Sissy, la sorella, non mostra meno problemi. Piomba nella vita di Brandon all’improvviso. La vediamo per la prima volta nuda, in bagno, e lo sguardo del fratello sembra non urtare quella intimità violata. Sissy deve aver ricevuto qualche violenza nel passato quando, oppressa dal suo dolore, si è procurata dei tagli. Un bisogno di sentirsi meglio? In realtà, era una richiesta di aiuto, di qualcuno che potesse consolarla. Brandon non sembra essere la persona giusta: la presenza di Sissy è per lui  un peso del quale vorrebbe subito liberarsi, ma è in grado di allontanarla. Tra i due esiste un rapporto molto particolare, molto intimo e ogni momento sembra il possibile inizio di un rapporto incestuoso.
Un oggetto che cattura l’attenzione dutante il film è un anello nuziale. All’inizio vediamo Brandon in metropolitana che flirta in uno scambio di sguardi una bella ragazza. L’intesa continua fino a quando la ragazza si alza in piedi e nel mantenersi alla sbarra mostra la fede. Esce e si perde tra la folla. Il desiderio di Brandon non si è concretizzato. Più tardi, Brendon rimprovererà, pieno di collera, la sorella per essere andata a letto con il suo amico e capo la sera stessa in cui lo ha conosciuto “Non hai visto che porta la fede al dito?”: lo stesso tipo di anello del quale lui in precedenza non si era curato. Gelosia? Vuole che sua sorella non appartenga ad altri? Maschilismo? L’uomo virile può fare ciò che donna onesta non può?
“Shame” affronta tematiche forti, interessanti e struggenti. Tutto sembra presagire ad un grande film. Nulla di tutto ciò. Se la regia e le interpretazioni si superano di molto la sufficienza (pur avendo vinto la Coppa Volpi al Festival di Venezia 2011, Michael Fassbender viene surclassato da una strepitosa Carey Mulligan), la sceneggiatura, scritta dal regista Steve McQueen e Abi Morgan, è rimane inesorabilmente vaga. Tutto inizia e termina con un punto interrogativo aumentando il senso di frustrazione già nato a causa dell’incedere troppo lento della storia. Giustificate freddezza e distacco, ma la storia meritava maggior dinamismo e coinvolgimento.
La musica di “Shame” è in gran parte un intervallarsi di note cupe e, alla lunga, fastidiose. Molto meglio i brani blues e jazz, e le eterne musiche Bach. Infine, “Shame” regala una versione di “New York New York” cantata da Carey Mulligan con tono triste e malinconico, del tutto opposta all’ottimistica versione originale. Non incanta la fotografia di Sean Bobbitt e le scenografie che sembrano prese in prestito da “Tokyo decadence”, cult erotico di Ryu Murakami.
“Shame” è un film sconvolgente non per le scene che molti hanno definito tendenti al porno, ma per quello che lascia: poco e nulla rispetto a quello che già si sapeva. Inoltre, racconta una storia senza minimo offrire di coinvolgimento, lasciando che tutto rimanga nel vago. E, non per ultimo, infastidisce facilità con la quale il protagonista riesce ad abbordare donne, gratis. Lui è bello, sì, ma donne così facili che lo vogliono all'istante o ragazze fidanzate che si lasciano mettere le mani in mezzo alle gambe senza reagire riesce a trovarle soltanto lui.

Voto: 50%


lunedì 16 gennaio 2012

GOLDEN GLOBE 2012: I VINCITORI

I vincitori dei Golden Globe 2012
Sono stati assegnati all’Hilton Hotel di Beverly Hills i Golden Globe 2012, i premi assegnati da una giuria di circa novanta giornalisti della stampa estera iscritti all’HFPA (Hollywood Foreign Press Association), da sempre considerati un valido indicatore per gli Oscar. Il vincitore dei Golden Globe 2012 è “The artist”, il film muto e in bianco e nero che aveva già entusiasmato al Festival di Cannes 2011. Rispettando i pronostici, il film del francese Michel Hazanavicius conquista il premio di miglior film e miglior attore protagonista, lo strepitoso Juan Dujardin nella categoria commedia/musical, e miglior colonna sonora, fondamentale nel caso di un film che non può contare sui dialoghi.
Michelle Williams vince il premio di miglior attrice per la categoria commedia/musical, interprete nel “La mia settimana con Marilyn”. Molti ricorderanno l’attrice americana protagonista di “Dawson’s Creek” nel ruolo di Jen Lindley. La ragazza ha fatto molta strada, mostrandosi attrice preparata ed eclettica. La concorrenza era di altissimo livello: Jodie Foster e Kate Winslet in “Carnage” di Roman Polanski; Charlize Theron in “Young Adults”; Kristen Wiig, ne “Le amiche della sposa”. Ma la sua magnifica interpretazione del personaggio forse più celebre di Hollywood, Marilyn Monroe, le ha consentito di vincere l’ambito premio. La Williams ha già dimostrato il suo valore in numerose pellicole, tra cui “I segreti di Brokeback Mountain” di Ang Lee e “Blue Valentine” di Derek Cianfrance, quest’ultimo mai uscito in Italia né al cinema né per l’home video.
Secondo classificato per numero di premi ai Golden Globe 2012 è “Paradiso amaro” di Alexander Payne, vincitore del premio di miglior film e miglior attore, George Clooney, nella categoria dramma dove trionfa anche Meryl Streep, miglior attrice nei panni del ministro Margaret Thatcher nel film “The Iron Lady”, diretto da Phyllida Lloyd.
Vincono anche tre importanti registi: Woody Allen vince la miglior sceneggiatura per “Midnight in Paris”; Martin Scorsese come miglior regista per “Hugo Cabret”, suo primo film in 3D; Steven Spielberg per “Le avventure di Tintin - Il segreto dell’Unicorno”, miglior film di animazione. Regista e sceneggiatrice di “Edward e Wallis: Il mio regno per una donna”, ma Madonna vince per quello che meglio sa fare: la sua “Masterpiece” è la migliore canzone originale. Miglior film straniero è l’iraniano “Una separazione”.


Miglior film (categoria drammatica)
Paradiso amaro, regia di Alexander Payne
Miglior attrice (categoria drammatica)
Meryl Streep (The Iron Lady)
Miglior attore (categoria drammatica)
George Clooney (Paradiso amaro)
Miglior film (categoria commedia/musical)
The artist, regia di Michel Hazanavicius
Miglior attore (categoria commedia/musical)
Jean Dujardin (The artist)
Miglior attrice (categoria commedia/musical)
Michelle Williams (La mia settimana con Marilyn)
Miglior regista
Martin Scorsese (Hugo Cabret)
Miglior attore non protagonista
Christopher Plummer (Beginners)
Miglior attrice non protagonista
Octavia Spencer (The help)
Miglior film di animazione
Le Avventure di Tintin: il Segreto dell’Unicorno, regia di Steven Spielberg
Miglior sceneggiatura
Woody Allen (Midnight in Paris)
Miglior colonna sonora
Ludovic Bource (The artist)
Miglior canzone originale
Madonna - Masterpiece (Edward e Wallis: Il mio regno per una donna)
Miglior film straniero
Una separazione, regia di Asghar Farhadi
Premio speciale alla carriera Cecil B. DeMille
Morgan Freeman


UNDERWORLD: IL RISVEGLIO

Underworld 4 - Il risveglio
Titolo originale: Underworld awakening
Nazione: USA
Anno: 2012
Genere: azione, fantasy
Durata: 1h28m
Regia: Måns Mårlind, Björn Stein
Sceneggiatura: Allison Burnett, John Hlavin, J. Michael Straczynski, Len Wiseman
Fotografia: Scott Kevan
Musiche: Paul Haslinger
Cast: Kate Beckinsale, Stephen Rea, India Eisley, Michael Ealy, Theo James, Sandrine Holt, acob Blair, Adam Greydon Reid, Catlin Adams, Charles Dance, Kris Holden-Ried, Robert Lawrenson, Richard Cetrone, John Innes, Tyler Mcclendon, Kurt Max Runte, Ron Wear, Marvin Duerkholz, Sanny Van Heteren


Trama
La vampira Selene si risveglia dopo essere stata per dodici anni in uno stato simile al coma, prigioniera in un laboratorio della Antigen, una potente compagnia biotech che sta lavorando alla creazione un vaccino contro i virus che hanno creato Vampiri e Lycan. Distrutta dalla scoperta della morte del suo amato Michael, Selene scopre di avere una figlia. Nel frattempo, il suo popolo è ormai sull’orlo dell’estinzione e che i pochi sopravvissuti, nascosti nel sottosuolo, la ricusano.

Recensione
La principale ragione del successo della saga di “Underworld” è Kate Beckinsale, la vampira Selen dal fascino magnetico, tosta nelle scene d’azione e sexy nel suo vestitino aderente di cuoio nero. La sua assenza si era fatta sentire nel terzo episodio, “Underworld: la ribellione dei Lycans”, mediocre prequel. “Underworld: il risveglio” può contare su un esercito di sceneggiatori, Burnett, Hlavin, Straczynski e Wiseman, e due giovani e interessanti registi, gli svedesi Måns Mårlind e Björn Stein (Shelter - Identità paranormali) per dare nuova linfa ad una serie che già poteva far sentire il peso degli anni.
Il ritorno di Kate Beckinsale segna anche l’arrivo di nuovo personaggio, Eve, figlia di Selene, interpretato da una giovane e dolcissima India Eisley. Non c’è spazio per proporre qualche considerazione sul rapporto-madre figlia. “Underworld: il risveglio” è soltanto azione, combattimenti ed effetti speciali. Arriva anche il 3D, ma la fotografia molto buia, gli abiti e gli sfondi scuri, non aiutano nella percezione della profondità. La regia di Mårlind e Stein è frenetica, dominata dal caso. I due non lasciano spazio all’immaginazione: la violenza esplode irrefrenabile e il sangue gronda copioso.
“Underworld: il risveglio” è esattamente quello che ci si aspetta quando si va a vedere un film d’azione (la componente horror è quasi del tutto scomparsa), niente di più, niente di meno.

Voto: 64 %


domenica 15 gennaio 2012

L'ARTE DI VINCERE

L'arte di vincere - Moneyball
Titolo originale: Moneyball
Nazione: USA
Anno: 2011
Genere: drammatico
Durata: 2h13m
Regia: Bennett Miller
Sceneggiatura: Aaron Sorkin, Steven Zaillian
Fotografia: Wally Pfister
Musiche: Mychael Danna
Cast: Brad Pitt, Philip Seymour Hoffman, Robin Wright, Jonah Hill, Chris Pratt, Stephen Bishop, Brent Jennings, Ken Medlock, Tammy Blanchard, Jack McGee, Vyto Ruginis, Nick Searcy, Glenn Morshower, Casey Bond, Nick Porrazzo


Trama
Gli Oakland Athletics hanno subito l’ennesima sconfitta nel campionato di baseball. E’ una squadra che non può competere con squadre più blasonate come i New York Yankees. Al termine del campionato, alcuni dei giocatori più forti sono andati via in scadenza di contratto e non c’è a disposizione un budget tale da rimpiazzarli con giocatori di pari livello. Durante una visita ai Cleveland Indians, il general manager Billy Beane conosce Peter Brand, un giovane laureato in economia a Yale convinto di poter costruire una squadra vincente basandosi sulle statistiche anziché su giocatori celebri. Beane si lascia convincere dalle teorie ragazzo, lo assume come assistente, e rifonda la squadra con nomi sconosciuti scelti in base alle statistiche di Beane. Tutti i colleghi degli Oakland Athletics, in primis l’allenatore Art Howe, rimangono senza parole per questa assurda strategia.

Recensione
Il cinema ha spesso utilizzato lo sport come metafora della vita, sia nel raccontare le imprese agonistiche che lo show business conseguente. Vita, soldi e sport sono legati indissolubilmente. “L’arte di vincere”, tratto da una storia vera descritta nel romanzo “Moneyball: The Art of Winning an Unfair Game” pubblicato nel 2003 da Michael Lewis, racconta l’avventura degli Oakland Athletics (A’s) guidata dal suo general manager Billy Beane. Gli A’s di Beane sono una leggenda per gli americani, ma rappresentano qualcosa di anonimo e sconosciuto per la quasi totalità degli italiani. “L’arte di vincere” è un film sul baseball, sport poco diffuso in Italia e questo ne limiterà il successo nel nostro paese. In realtà, ciò che accadde in quella stagione potrebbe essere riproposto pari pari nel calcio, sport nazionale dell’Italico Stivale. Lo sport è spesso preda dell’imprevisto, capace di ribaltare il più scontato pronostico.
Bennett Miller conferma la sua regia pulita e senza fronzoli già mostrata nel suo lavoro d’esordio “Truman Capote - A sangue freddo”. La forza de “L’arte di vincere” è tutta nella sceneggiatura di Aaron Sorkin (“The social network”: nelle sue mani ogni dialogo e ogni monologo diventano accattivanti rendendo il film scorrevole nonostante la sua durata (oltre due ore). Lo sport è un gioco, ma per chi ci lavora diventa una questione di vita o di morte. Nella scena in cui Scott Hatteberg viene ingaggiato si può notare come la sua vita cambi in un attimo: all’inizio è solo sul divano, triste e disperato nei suoi pensieri, e dopo aver ricevuto il suo nuovo insperato contratto è assieme alla sua famiglia, felice per la nuova opportunità. Il baseball, ma in generale lo sport, ha un carattere tradizionalista, poco disposto al cambiamento. Nessuno vede di buon occhio un neolaureato di Yale, per nulla avvezzo al gioco del baseball, stravolgere la tradizione con un nuovo metodo rivoluzionario basato su calcoli statistici. L’artefice di quel metodo fu, nel film, Peter Brand, e nella realtà, Paul DePodesta. A differenza di Beane, il suo nome è stato cambiato perché non d’accordo sugli molti aspetti troppo romanzati della storia.
“L’arte di vincere” è il film di Brad Pitt. Il bell’attore si mostra sempre di più un’artista del set. Pitt non mostra soltanto tutte con dovizia le caratteristiche di Beane, ma anche ciò che nasconde dentro, evidente nelle scene in cui il protagonista e solo nei suoi pensieri. Bravo anche nel plasmare il carattere durante il mutamento del rapporto tra Beane e la squadra.
“L’arte di vincere” la storia vera di un’impresa sportiva, certo romanzata, ma che rappresenta una valida metafora della vita che raccoglie in se la voglia di riuscire a vincere, qualunque sia il proprio obiettivo.

Voto: 81%

Trailer “L’arte di vincere”


venerdì 13 gennaio 2012

J. EDGAR

J. Edgar recensione film
Titolo originale: id.
Nazione: USA
Anno: 2011
Genere: biografico, drammatico
Durata: 1h57m
Regia: Clint Eastwood
Sceneggiatura: Dustin Lance Black
Fotografia: Tom Stern
Musiche: Clint Eastwood
Cast: Leonardo DiCaprio, Naomi Watts, Armie Hammer, Judi Dench, Josh Hamilton, Geoff Pierson, Cheryl Lawson, Kaitlyn Dever, Brady Matthews, Gunner Wright, David A. Cooper, Ed Westwick, Kelly Lester, Jack Donner, Dylan Burns, Jordan Bridges


Trama
J. Edgar Hoover è stato per 48 anni l’uomo più potente degli Stati Uniti. A capo dell’FBI fino alla morte, Hoover ha combattuto chiunque minasse la sicurezza del suo paese. Hoover ha contrastato minacce sia vere che inesistenti, spesso infrangendo la legge col fine di proteggere i suoi concittadini. J. Edgar Hoover ossessionato dal suo lavoro e dalla madre, una donna cinica e determinata a vedere il figlio primeggiare. Nessun amico se non il suo collega, e presunto amante, Clyde Tolson, Hoover era temuto da tutti anche perché chi si metteva contro di lui rischiava di essere messo alla gogna a causa delle numerose informazioni riservate che teneva nascoste pronto a ricattare chiunque.

Recensione
Chi è J. Edgar? A molti questo nome dirà poco o nulla. Per quasi mezzo secolo, J. Edgar Hoover è stato l’uomo più potente e temuto degli Stati Uniti d’America, capo Federal Bureau of Intelligence (F.B.I.). I presidenti cambiavano, Hoover era sempre lì al suo posto, tormentato dall’appassionata quanto fanatica ricerca di un nemico interno al Paese: prima i comunisti, poi i gangster, infine il leader nero Martin Luther King. Non avrebbe fatto sconti neanche alla famiglia Kennedy se avesse ostacolato le sue attività.
“J. Edgar” si presentava, così, un progetto molto ambizioso. Clint Eastwood doveva raccontare un periodo controverso della storia americana attraverso le memorie di uno degli artefici di questo difficile clima. Un progetto che richiedeva un complesso lavoro di ricostruzione perché poteva limitarsi al classico biopic. La vita di J. Edgar Hoover è stata una fitta ragnatela di relazioni con altri uomini potenti, criminali e non, e di rapporti personali, pochi ma determinanti, che influirono sulla sua personalità e sulle sue scelte. Ebbene, dopo il mediocre “HereafterClint Eastwood compie un altro passo falso.  Sarà stato per un personaggio discutibile del quale che non può suscitare simpatia, ma la narrazione fredda e didascalica fa di “J. Edgar” un film privo di empatia.
Cosa sappiamo in più di J. Edgar Hoover alla fine del film? Che era un uomo tanto potente quanto temibile: o eri con lui, o rischiavi di essere fatto fuori; un uomo ossessionato dal lavoro, privo di vita sociale; una mente geniale capace di riorganizzare la lotta contro il crimine; un paranoico che si creava nemici da combattere; un razzista totale perché arrivava a disprezzare anche se stesso e la sua bassa statura; un esaltato dall’idea dell’immortalità tanto da inettarsi durante la sua vecchiaia soluzioni vitaminiche nel sangue. La sua omosessualità non aggiunge nulla e nel rapporto con la madre appare più mammone che vittima di un più profondo complesso edipico (inquietante la sequenza del ballo con la madre). Tanto potente in pubblico, tanto fragile in privato, nei confronti delle donne e della madre, donna cinica e spietata tanto da affermare di preferire un figlio morto che omosessuale.
La sceneggiatura di “J. Edgar” porta la firma dell’attivista gay Dustin Lance Black, lo stesso che aveva descritto in “Milk” un’altra influente figura omosessuale: un ritratto privo di enfasi perché erano le sue battaglie politiche a parlare per lui. I continui salti temporali accompagnati dalla voce narrante, spesso fastidiosa, appaiono totalmente sbilanciati nonché fuorianti. Non aggiungono dinamismo alla storia, rendendola ancor più pesante. Perché infastidisce quella voce narrante dell’anziano Hoover? Eppure la voce è affidata a Francesco Pezzulli, storico doppiatore di Leonardo DiCaprio che da “Titanic” non se ne era mai distaccato. Pezzulli si limita a gonfiare il petto emettendo una voce impostata: lo stesso che farebbe, per gioco, un bambino. Il risultato è chiaramente risibile. Ancor peggio è il make-up utilizzato per invecchiare Leonardo di Caprio e Armie Hammer (Clyde Tolson): inguardabile, da cinema amatoriale. A parte DiCaprio, sempre “titanico”, il resto del cast recita troppo in sordina come se temessero davvero l’ingombrante presenza di Hoover. Anche Naomi Watts appare troppo timida. Nel suo caso, almeno, la versione “anziana” è decente. Julie Dench, nei panni della madre, entra bene nel personaggio pur non lasciando nulla che da ricordare ai posteri.
A supporto della storia una colonna sonora quasi inesistente, qualche nota di un pianoforte suonato dallo stesso Clint Eastwood.
In poche parole, “J. Edgar” non è un film da consigliare. Non è il film che ci si attende da un regista che ha realizzato film come “Gli spietati”, “Mystic River”, “Million Dollar Baby”, “Changeling” e “Gran Torino”. Narrazione troppo distaccata, mancanza di ritmo, eccessiva caricatura dei personaggi. L’incedere lento della storia appare inutile, perché c’è poco materiale valido su cui riflettere. L’unico a salvarsi è proprio quel Leonardo DiCaprio finora sempre snobbato dall’Accademy Award.

Voto: 46%